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Maria Callas di Larraín: l’ultimo canto di un’anima prigioniera - Pop Corn Club
sabato, Aprile 19, 2025

Maria Callas di Larraín: l’ultimo canto di un’anima prigioniera

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Visioni, desiderio, paura, orgoglio. Questi sono i primi aggettivi che colpiscono l’anima quando si accoglie la visione dei dolorosi ultimi giorni di Maria Callas, l’epopea di una vita che non conosceva confini, ma che nel suo canto esplodeva come un inno tragico all’ineluttabile. Interpretata con sublime maestria da Angelina Jolie, la voce della Callas risuona ancora nei corridoi dell’immortalità, mentre la regia di Pablo Larraín scolpisce un ritratto che va oltre l’umano, penetrando nell’essenza stessa di un mito, per rivelarne la fragilità nascosta dietro l’apparente perfezione.

Maria, presentato all’81ª Mostra del Cinema di Venezia, non è solo un’epica conclusione di una trilogia dedicata alle grandi figure femminili, ma una riflessione che s’inerpica sulle vette più alte della psiche e dell’emozione. Il regista, già artefice dei capolavori Jackie e Spencer, non intende raccontare la vita di Maria Callas come una biografia lineare, ma piuttosto come il fragile e affascinante affiorare di istanti che hanno segnato la vita della Diva. La scelta dell’attrice, Angelina Jolie, appare come il perfetto tributo a una donna che, pur lontana dalla camera da presa e ancor di più da un ruolo tragico, non ha mai smesso di incarnare l’anima tragica di una diva.

1977. Parigi tra follia e consapevolezza

In un mondo dove l’immagine di Maria Callas è scolpita nei cuori di milioni, Larraín non si fa sedurre dalla nostalgia banale, ma cerca il volto nascosto della sua protagonista, quello che non ha mai smesso di lottare contro l’abisso dell’oblio. Il film si concentra sulla sua ultima settimana di vita, un periodo in cui la grandezza e la miseria si fondono in un unico, inestricabile destino. La narrazione è divisa in tre atti, come se fossero i capitoli finali di un’esistenza che si consuma tra il desiderio di ricominciare e la consapevolezza che non vi è ritorno. Il Mandrax prende vita e diventa il regista e giornalista della sua autobiografia, interlocutore e compagno delle sue passeggiate e rivelazioni.

La Callas che Larraín ci restituisce non è quella che tutti conoscono: non è più l’eroina che incantava il mondo con la sua voce, ma una donna che ha rinunciato a sé stessa, che brucia i propri costumi come se volesse spezzare le catene del passato. Il ritiro dalle scene, il rifiuto del canto, diventano simboli di una lotta interiore, dove il fuoco della passione brucia la possibilità di una rinascita, e la solitudine diventa l’unica compagna di un’esistenza che non si può più cambiare. Il Mandrax, nemico implacabile, divora l’anima della grande artista, come una bestia che, con le sue fauci, le impedisce di rinascere. L’autobiografia prende vita da quando Maria ha deciso di ritirarsi dalle scene. Una decisione che prende come se vivesse davvero nell’Antica Grecia, a tal punto da bruciare tutti i suoi vestiti di scena, perché voleva rompere con il passato; esibirsi e cantare non facevano più parte di lei. Una parte di sé che ha ripudiato, ma il Mandrax le dimostra che non ne può stare lontana. La consuma, la divora, l’anima e, in balia del passato, del presente e forse del futuro, si sviluppa la narrazione degli ultimi momenti di vita della Callas.

Attraverso il palco dentro la sua testa e quello fuori, vecchio, triste e reale, la Callas ci porta a ripercorrere i momenti che hanno segnato la sua vita, dall’incontro con Aristotele Onassis (Haluk Bilginer) alla sua adolescenza in Grecia. Siamo a New York, alla Scala di Milano, poi a Covent Garden. Frammenti in bianco e nero e flashback raccontano della povertà dalla quale Maria nasce e vien fuori, venduta ai soldati tedeschi per la sua voce, prigioniera della madre, si libera per vivere la sua vita e la sua voce. Incontra l’uomo brutto e funesto, nonché primo e ineguagliabile amore della diva, non corrisposto mai a sua detta, che anch’egli la rese prigioniera e le privò del canto. Ed ora, ora che lei ha deciso per sé ed è libera, cosa accade? Maria è ancora prigioniera, lo è sempre stata, ma di sé stessa.

La fragile Maria

Non riesce a liberarsi del passato perché è “l’unica porta dalla quale passa la musica”. Non vuole ricostruirsi a 53 anni, rivuole la sua voce, quella che le è stata strappata via molto tempo fa. Per lei la musica è tutto e, se non può più cantare, può solo viverla attraverso i ricordi e nei dischi che imprigionano quella voce che un tempo era perfetta.  La Callas è una donna che vive ormai come un’ombra della propria grandezza, in un’esistenza dilaniata dal dolore e dall’impossibilità di restituire al mondo la perfezione perduta. Le immagini in bianco e nero, i flashback che narrano la povertà, la schiavitù di una madre opprimente, l’amore non corrisposto, rendono il suo cammino ancor più tragico, come quello di un eroe antico destinato a non trovare pace.

Contrapposta all’immagine della Diva, c’è quella di Maria, una bambina che non sa badare a sé, vive a Parigi da quattro anni con il meraviglioso maggiordomo Ferruccio, interpretato da Pierfrancesco Favino, e la sua domestica, Alba Rohrwacher.

Il ruolo di comprimari di Favino e Rohrwacher ci restituiscono una chiave di lettura diversa della Callas del palcoscenico. Quella di Maria, che mostra all’interno della casa a sé stessa, è una donna ormai fragile, malata, in preda alle sue visioni e ancora ai capricci di diva dietro alle sue pillole. Con i loro sguardi dolci, amorevoli e di comprensione, si prendono cura della follia di Maria. Loro sono la sua famiglia. Sono amici, fratelli, madre e padre. Una casa affollata in cui lei si rifugia quando le sue visioni si scontrano con la dura realtà. La famiglia che ha sempre desiderato e che non ha mai avuto.

Il vero potere di Maria

Nel corso di questa narrazione, che si snoda come un canto tragico, Larraín ci regala un ritratto inedito della Callas, una donna che non è solo il simbolo di un’arte irripetibile, ma una persona che ha lottato, sofferto e, infine, si è persa in un mondo che non ha saputo riconoscere la sua grandezza. La sua perfezione è stata la sua prigione, la sua condanna. E così, la Callas, come un personaggio di tragedia greca, è destinata a morire non solo fisicamente, ma nel cuore di una modernità che non può più capire la bellezza della sua voce.

Con il suo volto segnato dal dolore, Angelina Jolie ci restituisce sì l’immagine di una diva, ma soprattutto l’incarnazione di un’anima spezzata. La sua interpretazione è un viaggio emozionante, che scuote l’anima e risveglia quella bellezza incompleta che non appartiene alla perfezione, ma alla verità. In Maria, il regista Larraín non racconta una semplice vita; egli esplora il cuore stesso della tragedia, dove il genio e la sofferenza si fondono in un’unica, eterna melodia.

Ci deve essere un disco con scritto canto dell’uomo, io vorrei cantarlo prima di smettere

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Valeria Lanza
Valeria Lanza
Nata sotto il segno del Capricorno con l'intensità di Jared Leto e la profondità di Tolkien, ascendente in Brad Pitt e l'energia travolgente di Churchill, con una Luna che fonde la sensibilità di Virginia Woolf con il fascino di Margot Robbie.

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