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"Il treno dei bambini", un viaggio che riconosce nell'umanità la sua vera forza - Pop Corn Club
venerdì, Aprile 18, 2025

“Il treno dei bambini”, un viaggio che riconosce nell’umanità la sua vera forza

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Il treno dei bambini non è solo un racconto di separazione, ma un viaggio nella ferita di un paese che lotta per non dimenticare. Tratto dal bestseller di Viola Ardone, il film di Cristina Comencini ci regala una storia in cui ogni personaggio è segnato dalla necessità di scegliere forzatamente il proprio destino, pur di sopravvivere. Attraverso gli occhi di un bambino, Amerigo, il film ci costringe a guardare in faccia la miseria e la speranza che si intrecciano in un’Italia fragile, ma capace di restare unita più che mai.

Il treno dei bambini

Nel 1946, Napoli è una città che tenta di respirare tra le rovine della guerra. Amerigo, un bambino di otto anni, vive nei Quartieri Spagnoli, dove la fame è una condanna. Sua madre (Serena Rossi), capendo che l’unico modo per salvargli la vita è mandarlo lontano, lo affida a una famiglia del Nord, aderendo a una delle iniziative più radicali di solidarietà: i treni organizzati dall’Unione donne del Partito Comunista Italiano. Un treno che, per qualche mese, unisce Nord e Sud, e che diventa il simbolo di una speranza, ma soprattutto di salvezza.

La musica di Piovani dà voce all’Italia

Pochi elementi nelle nostre vite hanno lo stesso potere evocativo della musica. Lo sa bene il Maestro Amerigo Speranza (Stefano Accorsi) che, immediatamente prima di un concerto, riceve una dolorosa notizia che gli fa fare un tuffo nel passato. Ma lo sa bene anche il vero Maestro, Nicola Piovani, che cura la colonna sonora de Il treno dei bambini. La sua musica, profonda e struggente, si fa voce di un’Italia che non ha paura di guardare alle sue cicatrici, ma anche alla sua capacità di risollevarsi, di non dimenticare, e di sperare ancora.

Certe volte ti vuole più bene chi ti lascia andare di chi ti trattiene

Questo film non ci chiede di piangere a comando, ma di entrare in punta di piedi nelle emozioni più complesse. La sua regia, sobria e misurata, lascia che siano i dettagli a fare la differenza: un silenzio che pesa, uno sguardo che non si incontra, una parola che resta sulla punta della lingua. Serena Rossi, nel ruolo della madre Lucia, è splendida nel mostrarci una donna che ama senza illusioni, ma con la consapevolezza di fare l’unica cosa che può per il figlio, perché “certe volte ti vuole più bene chi ti lascia andare, di chi ti trattiene”. Barbara Ronchi restituisce con grande intensità i turbamenti di una donna che deve diventare madre per pochi mesi, ma che si trova a fare i conti con un legame che va ben oltre il tempo e lo spazio.

Nel 1944, a Napoli, mentre i bombardamenti scuotevano la città, il piccolo Amerigo (Christian Cervone) cercava rifugio, pensando al nascondino. Nel caos di una guerra che sembrava non finire mai, la madre Antonietta decide di mandarlo via, come tante altre madri dell’epoca. Un gesto d’amore che nasconde il dolore di separarsi dal proprio figlio, ma che, per la madre, è l’unica possibilità di salvarlo dalla miseria. I bambini del Sud, tra cui Amerigo, partono verso il Settentrione, dove troveranno famiglie che, pur non avendo molto, offrono una speranza. Amerigo viene accolto a Modena dalla famiglia di Derna (Barbara Ronchi), ma la paura di non tornare mai più a casa è sempre presente. La sua vita cambierà per sempre, tra nuovi legami, ma anche nuovi dolori.

La vera forza di Il treno dei bambini è nell’umanità che racconta, frutto della forza delle donne, che in quegli anni furono la spina dorsale di un Paese che stava ricostruendo se stesso. Un gesto di solidarietà che, in un periodo di grandi difficoltà, si fa rivoluzionario. Un atto che diventa memoria collettiva di una generazione che ha vissuto e superato le ferite della guerra, e che ha lottato per non dimenticare.


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