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In dialogo con Salvatore de Chirico, showrunner della nuova serie RaiPlay “Never too late” - Pop Corn Club
sabato, Aprile 19, 2025

In dialogo con Salvatore de Chirico, showrunner della nuova serie RaiPlay “Never too late”

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Un anno fa ho scoperto Story of your Life”, il cortometraggio straordinario di Salvatore de Chirico, un giovane di origini pugliesi. La mia curiosità è stata immediata, perché la sua storia mi ha evocato le stesse emozioni della lettura di Spatriati” di Mario Desiati. Ho pensato: ce lha fatta! È stato visto. C’è una connessione profonda, quasi istintiva, tra chi cresce nello stesso territorio; sapere di condividere la stessa terra crea un legame, un senso di protezione che è impossibile ignorare.

Never Too Late: Un Futuro da Salvare per Salvatore de Chirico

A partire dal 22 novembre, su RaiPlay andrà in onda “Never too late”, una serie composta da dieci episodi in cui Salvatore e Lorenzo Vignolo immaginano un futuro inquietante: la storia di sei ragazzi e sei ragazze intrappolati in un mondo in pericolo, dove per preservare la natura è necessario separarla dalla vita umana. L’idea, frutto del lavoro di Federica Pontremoli, Simona Coppini e Camilla Paternò, è potente e necessaria. Coprodotta da Rai Fiction e Propaganda Italia, girata tra Sardegna e Lazio, si presenta non solo come la prima serie pre-teen in Italia a sensibilizzare su un futuro così vicino—il 2046—ma anche come un dialogo con i giovani, un messaggio che non vuole essere una minaccia, ma un luogo di speranza. I protagonisti non hanno mai toccato il tronco di un albero, non possono fare il bagno al mare; indossano respiratori perché la qualità dell’aria è diventata insostenibile. L’ossigeno è razionato, un bene scarso. Parliamo di alfabetizzazione al dolore, del confronto con la realtà, delle relazioni che diventano oblique e del cambiamento, visibile e invisibile. C’è una presa di coscienza profonda: noi non siamo semplicemente l’estensione di ciò che ci ha cresciuti, ma un prodotto di scelte. La genitorialità senza possesso, la responsabilità delle azioni e delle parole, come atto consapevole di un effetto che adesso non è più gassoso, ma ha un peso.                                                                                     

Futuro Distopico o Realtà Imminente? Dialoghi tra Generazioni

Salvatore mi corregge: la sinossi iniziale parlava del 2038, ma, per amore del cinema asiatico e per questioni anagrafiche, la data è stata posticipata al 2046. Questi ragazzi sono i figli dei Fridays for Future di oggi. A separarli dalla vita verde e pulita c’è un muro, una citazione della proposta trumpiana del 2016, che oscura la vista su una zona incontaminata.

La mia curiosità cresce: pensare a questa serie come distopica è un errore. A quindicimila chilometri da noi, quel muro esiste davvero, sorvegliato 24 ore su 24. Il futuro descritto non è affatto distante, si avvicina pericolosamente a noi, giorno dopo giorno.                  

Il velo politico, lo scambio di mondi, la possibilità che ognuno possa contaminare la storia con le proprie idee, creano un panorama complesso nella regia italiana, dove le categorizzazioni si smantellano e si apre la strada alla sperimentazione. Salvatore mi dice: «Anche gli attori, così giovani, hanno contribuito a decostruire alcuni termini che consideravano cringe, e noi li abbiamo ascoltati». Rido all’immagine di quella scena. «È giusto così», continuo, «loro vivono questo mondo, e bisogna fare attenzione alla comunicazione; altrimenti, perdi subito credibilità».

È vero, penso: la sfiducia è la perdita più grave di attenzione verso qualcosa, soprattutto quando si è giovani. Le seconde possibilità, in genere, risultano sempre più fragili.

Creare per esistere

«Per questa serie», mi dice «il riferimento giovanile era Stand by me, I Goonies, la prima stagione di Stranger Things, in cui questi giovani guerrieri rivelano fragilità inaspettate. Ognuno di loro è costretto a rispondere al movimento dell’arena in cui si trovano»

Mi racconta della sua paura giovanile di muoversi nel mondo, del potere liberatorio dell’immaginazione. Del suo punto di partenza dice che, è l’inadeguatezza del mondo che ti spinge a creare una realtà più piacevole, più gentile. «Quando avevo sette anni ho scritto un libro» mi confida «la storia di un amico immaginario, perché volevo avere un amico e non ne avevo».

I segni erano evidenti, dunque, precursori di ciò che è diventato oggi. «La noia ti rende bisognoso di riempimento. Penso davvero che l’idea di fare il regista, che è fondamentalmente quella di creare altri mondi, nasca dal rifiuto della realtà»

Poi gli chiedo se questa evasione dalla realtà non lo porti a dimenticare la verità, quella che svanisce con la disillusione dell’età adulta. Se il suo lavoro sia solo un sintomo di un rapporto conflittuale con la verità. «Io penso che il cinema debba cercare la verità attraverso l’illusione», risponde.

Molto bello, gli dico.

Chi sei?

Gli racconto di un’abitudine comune nella nostra terra: per identificare qualcuno, la generazione precedente alla nostra chiede sempre “A ci appartin?”, ovvero “A chi appartieni?”. È come se la categorizzazione familiare fosse inevitabilmente legata a ciò che siamo. Questa riflessione nasce da un aneddoto di Alice Rohrwacher, che chiede a Coppola quale domanda porrebbe ai giovani di oggi per comprendere chi sono. Coppola risponde: “Chiederei loro: a cosa sei fedele?”

Quando ho posto a Salvatore questa domanda, lui è rimasto in silenzio per un momento, poi mi ha detto: “Li ascolterei per capire come possiamo aiutarli a riappropriarsi del loro divenire.”

In quel momento, mi sento ascoltata anch’io. Ringrazio Salvatore De Chirico e chiudo la chiamata.


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