Paolo Sorrentino ritorna al cinema con Parthenope, presentato al Cannes77 e in sala dal 24 ottobre.
Con il suo ultimo lavoro, il regista premio Oscar ritorna nuovamente sullo scorrere del tempo, e su quanto questo sia inevitabilmente dolce e amaro al contempo.
Parthenope è la storia di una donna e della sua giovinezza, per la quale la protagonista, non ha mai mosso una parvenza di rimorso o rimpianto.
Il tempo ‘sorrentiniano’ semplicemente accade ed è spontaneo
Sorrentino elabora lo scorrere del tempo come elemento puro, irrimediabile e al quale non si può far altro che aderire in modo spontaneo, accettandone il suo divenire e il suo accadere.
Già dai lungometraggi precedenti, il tempo, è materia assai rilevante per la sua poetica, viene plasmata sottoforma di disincanto, propriamente come nel monologo finale di Tony Pisapia, (L’uomo in più), in cui quest’ultimo ricorda la gioventù, la madre, l’incontro con Sinatra, e i concerti sempre pieni.
Ed ancora ne ‘la grande bellezza’, con lo scrittore dallo scatto breve, Jep Gambardella, il quale riesce a trovare sollievo esclusivamente nel ricordo del passato e nella figura angelica di Elisa De Santis; o in Youth, dove la linea che separa la giovinezza dalla vecchiaia è demarcata dall’emozioni, totalmente in disaccordo con l’età.
La giovinezza per Sorrentino
La giovinezza che fu, quella che sarà, e quella che resta, sono dimensioni che l’essere umano ha insite in sé, dalle quali non può discernere. Per Paolo Sorrentino la fanciullezza è un atto che deve rivelarsi nella totale libertà, spontaneità, e a tratti anche con arroganza e impudenza. Non vi è nulla di sbagliato in ciò che si vive con mera immediatezza e genuinità.
Lo scorrere del tempo ‘sorrentiniano’ non è giudicante, scomunica l’innaturalezza delle emozioni, e assolve la sfacciataggine della contraddizione. Parthenope agisce scevra da pregiudizio alcuno, è ciò che la rende componente di desiderio per tanti, per tutti, esattamente come la città in cui vive e che l’ha messa al mondo, Napoli. Luogo che consente ai suoi abitanti e a chiunque di essere liberi di mostrarsi per ciò che desiderano, con schiettezza e disinvoltura.
Dal ‘non ti disunire a ‘Parthenope’
Il passaggio intellettualistico che gira intorno al concetto di tempo, e di come questo debba essere fruito nella piena semplicità e volontarietà, lo si estrapola dall’esortazione di Antonio Capuano, in È stata la Mano di Dio: NON TI DISUNIRE. Un invito che iI regista napoletano fa a Fabietto Schisa, quello di non snaturarsi, senza mai perdere la propria autenticità; autenticità che, forse, solo una città come Napoli concede di poter restituire e conservare.
In fondo “sul e strunz vann a Roma”
Non a caso Paolo Sorrentino, dopo tre anni, è rimasto a Napoli, decidendo di raccontare propriamente un racconto epico, di una donna, che a 73 anni, sospirando, ha semplicemente accettato con nostalgica tenerezza, che la giovinezza accade, con le gioie, gli inferni, la morte, e la vita, e che forse è durata poco.
Parthenope, dal 24 ottobre al cinema
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