Il 19 settembre è approdata su Netflix la nuova miniserie MONSTERS: La storia di Lyle ed Erik Menendez, seconda parte dell’antologia ideata da Ryan Murphy, inaugurata nel 2022 con Monster: La storia di Jeffrey Dahmer.
MONSTERS: “La storia di Lyle ed Erik Menendez” e il peso della perfezione
Quando si affrontano storie di true crime, la prima domanda che affiora alla mente è: “quando?” Quando avviene quel momento in cui si sceglie di compiere un atto tanto feroce, così distante dal comportamento umano eppure così tragicamente vicino all’essenza primitiva dell’animale? Quando l’essere umano si accorge di essersi smarrito, di aver varcato quel confine invisibile tra il giusto e l’irreparabile? È forse il dolore che alimenta questa deriva, una sofferenza in grado di piegare ogni volontà? O piuttosto un profondo senso di inadeguatezza verso se stessi, verso un’immagine che non si riesce più a sostenere?
Alla fine, la risposta potrebbe essere amara. Serie come questa non sono altro che una rappresentazione degli angoli più oscuri e brutali della vita reale. Forse, ciò che ci attira è la consapevolezza che, dietro la patina del quotidiano, questi abissi esistono.
1959, Cuba
Dopo la rivoluzione cubana, che portò Fidel Castro e il governo socialista al potere, molti cubani videro i loro beni e le loro vite cambiare drasticamente. Tra questi, José Menendez, allora sedicenne, decide di trasferirsi negli Stati Uniti. Senza conoscere una parola d’inglese e senza nulla da offrire, si ritrova con una determinazione incrollabile, con l’ambizione inquieta di voler diventare qualcuno ad ogni costo.Iscrittosi alla Southern Illinois University, José incontrò Kitty, una giovane donna che, dopo aver collezionato fasce e corone in svariati concorsi di bellezza, si preparava a vincere il titolo di moglie del futuro direttore della RCA Records, giocando un ruolo cruciale nella firma di band come Duran Duran, The Eurythmics e Menudo. Con i figli Lyle ed Erik, la famiglia Menendez si trasferì a Los Angeles, dove José intraprese una carriera nell’industria cinematografica.
The American dream: avere tutto
La serie si apre con una narrazione immediata sull’istante successivo al tragico avvenimento: José e Kitti sono stati uccisi. La casa familiare si trova in uno dei blocchi più esclusivi di Beverly Hills ed era stata, in momenti diversi, abitata da Michael Jackson ed Elton John. A viverci sono rimasti Lyle e Erik: impeccabilmente pettinati, dall’aspetto composto -insomma- dei Ralph-Lauren kinda of boys. Mostrano dolore solo sotto gli sguardi esterni, ma nel privato si ricongiungono a se stessi. Durante lo sviluppo della vicenda appare però un demone insinuato nel tessuto familiare, che sgretola ogni innocenza, ogni sogno, ogni possibilità di essere qualcosa di diverso da ciò che Josè, il padre, ha stabilito. La sua ombra si allunga come un imperativo, soffocando l’individualità e riducendo ogni volontà a una conformità imposta.La trama si dipana su un filo sottilissimo, quello di una violenza silenziosa, invisibile a tratti, ma sempre presente, pronta a esplodere. Una violenza che cresce e si propaga, mascherata da una patina di lusso. Il contrasto è stridente: immagini di una bellezza raffinata, opulenta, scorrono in parallelo a un’escalation di brutalità. Ogni gesto, ogni sguardo, nasconde una tensione latente, mentre l’eleganza degli ambienti e la perfezione esteriore non fanno che accentuare la crudezza sotterranea che permea ogni cosa.
Lusso. Lusso ovunque. È nei gesti e nei passi lenti, nel fluire del tempo. Persino l’umiliazione si trasforma in una sorta di eleganza distorta. La perversione, che regna sovrana in questo disastro umano, trova il suo apice nel parricidio, l’inevitabile epilogo di una tragedia che ha reso il crimine un atto di bellezza corrotta.
Tanto amore. Tanto sangue.
Il fatto è questo: Lyle ed Erik hanno agito spinti da una disperazione profonda, quella di dover essere ciò che non erano e di non riuscire a vivere nei propri corpi. Un conflitto interiore divenuto insostenibile. È incredibile quanto possa nascondere l’apparenza. Dietro i volti perfettamente composti, dietro i sorrisi costruiti per le circostanze, si nasconde una verità che nemmeno il lusso più abbagliante riesce a coprire: un abisso di segreti, di violenza taciuta, di tradimenti consumati nel silenzio. È un’oscurità che corrode lentamente, fino a provocare una deflagrazione dell’anima, un’esplosione inevitabile che travolge tutto, distruggendo quel fragile equilibrio di perfezione. Ad essere stati distrutti sono le versioni più giovani di Lyle e Erik: i bambini a cui veniva chiesto di vincere le competizioni, di prevalere sul confronto con gli altri, di essere sì, ma sempre meglio degli altri. La serie tv si concentra maggiormente sui fatti in corte e questi sono ben più distanti dal principio di realtà che vigeva in passato. Sono stati dannati, dannati in un modo ingarbugliato, pieno di male; e quando fai del male ad un bambino si sa, questo diventerà un pessimo essere umano: dall’inizio fino alla fine di questa vicenda, dalla dannazione non si libereranno mai.
La storia di Lyle ed Erik Menendez: quello che rimane
La narrazione di MONSTERS: “La storia di Lyle ed Erik Menendez” si sviluppa su due livelli: spesso ci troviamo di fronte a una vittima e a un carnefice. Ma forse ciò che rende questa storia così potente è proprio la domanda che lascia in sospeso: chi sono i veri mostri?
Forse è per questo che le storie di cronaca nera stanno guadagnando sempre più terreno. La malattia mentale è spesso imprevedibile, sfugge ai copioni tradizionali e alle dinamiche a cui siamo abituati. A differenza delle trame sapientemente costruite o delle strategie narrative già collaudate, il crime si alimenta di un caos reale, disturbante. Ed è proprio questa imprevedibilità a catturare l’attenzione dello spettatore, costringendolo a confrontarsi con ciò che non può essere facilmente spiegato.
La storia di Lyle ed Erik Menendez ferisce nel profondo, sia su screen che nella realtà. Il pensiero che un genitore possa nutrire di solo disprezzo ciò che di più intimo proviene dalla propria carne è devastante. Vedere il male avvenire in un legame così sacro rappresenta la sconfitta dell’umanità.