Approdato in sala il 5 settembre, distribuito da Fandango, “Quasi a casa” è l’esordio alla regia della giovanissima Carolina Pavone.
Cautamente, la Pavone sceglie di costruire un dialogo con i giovani simili a lei (questa ha difatti appena trent’anni) – come appunto dichiarato in un’intervista durante la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2024 – spaventati, dal processo del divenire. La gioventù è una trappola, si sa; la si guarda tramite spazi molto più stretti di quello che realmente sono. La si ridimensiona col rimpianto, quando il tempo sancisce uno spazio tale da poterla definire come periodo di libertà.
Lo sa bene Caterina (Maria Chiara Arrighini): occhi attenti ma incerti, i capelli che toccano le spalle, le mani agili, la voce rigida, ma calda. È estate quando capisce che ad abitare nel suo territorio stracolmo di paure non è più sola, che adesso c’è anche Mia (Lou Doillon) e lei deve subirla. Invadente, feroce: vera da far paura. Nonchè il suo idolo.
Inizierà da qui un estenuante dialogo con il timore di essere.
L’abuso dei sogni
Il cinema internazionale e non, è colmo di storie che raccontano grandi successi, stelle in ascesa, rockstar capricciose e attori bruttissimi ma che diventeranno improvvisamente bravissimi. Questa storia è tutt’altro. Tratta di smascheramento, di decostruzione. Questa storia non muove niente, accompagna il flusso delle cose. In Quasi a casa Caterina deve incontrare Mia, perchè nel destino le cose stanno cosi. E il destino dice che la possibilità di realizzazione ha capelli lunghi come Sailor Moon, i vestiti belli, l’accento francese e il passo leggero. Mia si decostruisce per e con Caterina e quest’ultima, ne prende i pezzi, diviene leggera e attraverso il loro peso si lascia guidare, scegliendo la direzione delle cose che le piacciono di più.
I figli di
Per la Pavone il suo mito era ed è Nanni Moretti. Voleva lavorare con lui e ci è riuscita. Che ci abbia collaborato non è un segreto, ma esplicitarlo ogni volta che la si citi non le toglie niente. Anzi. Ne conferisce valore, perchè il suo studio si sente, riverbera nella fotografia e nelle pellicole di Olivier Assayas e Emanuele Crialese.
Che la Pavone abbia con strategia scelto Lou Doillon per interpretare Mia non c’è dubbio, ma è chiaro che la figlia di Jane Birkin e Jacques Doillon vesta alla perfezione i panni del riferimento traballante di Caterina.
A mascherarsi tra la bellissima fotografia di questa pellicola è pure Francesco Bianconi, frontman dei Baustelle, scelta che si incastra benissimo nel quadro generale del racconto.
Gli untori del web
Nonostante la distribuzione capillare del film, con l’assenza totale in diverse regioni d’Italia, il risultato è comunque buono: la fotografia è efficace e, sebbene la sceneggiatura presenti alcune lacune, si tratta di un primo lavoro che funziona, ci muove.
È un dispiacere non dare una possibilità al cinema italiano, ed è ancora più un dispiacere non darlo ad una storia come questa: un temporale di riflessioni sulla vita e le sue fasi; per non perderla e non perdere i sogni ai quali ci aggrappavamo per essere visibili, non a noi ma al mondo intero. Le critiche si sa, sono parte del gioco, ma si finisce col ferire l’arte quando un buon prodotto diviene vittima del solito cliché del “filmetto italiano”.
“Quasi a casa” ha un potere: intercetta l’istante tra possibilità e realizzazione.