“Il mio personaggio rappresenta a pieno la mia idea di libertà. Carmine Crocco, uno storico brigante, diceva che la libertà è la capacità di partire dalla voce della propria anima e avere il coraggio di dire ‘questo è mio’, un’appartenenza totale a qualcosa”. Con queste parole Marlon Joubert ci presenta Giuseppe Schiavone, il personaggio che interpreta in Briganti, la nuova serie Netflix disponibile dal 23 aprile.
Ambientato nel Sud Italia di metà Ottocento, Briganti è un racconto moderno, epico e ricco
d’azione, sul fenomeno del brigantaggio. Liberamente ispirata a persone, uomini e donne,
realmente esistite, divenute simbolo della rivoluzione contadina nell’Italia postunitaria, la serie
è un racconto corale di una storia di lotta per la libertà degli ultimi.
Scritta dai Grams e diretta da Steve Saint Leger, Antonio Le Fosse e Nicola Socinelli, la serie vede nel cast, oltre a Joubert, anche Michela De Rossi, Ivana Lotito, Matilda Lutz e Orlando Cinque.
Sono le 15 di un tranquillo giovedì quando Marlon Joubert ci risponde al telefono, pronto a parlarci del suo nuovo ruolo da protagonista, ma anche di Paolo Sorrentino, Suburræterna e, in generale, della sua idea di libertà, molto vicina a quella di Schiavone, ma anche del suo modo di vedere il successo e tutto ciò che ne consegue.
Briganti
Partiamo dal presupposto che sono passati due anni da quando l’abbiamo girato, quindi la memoria è leggermente più sfumata. Posso dire sicuramente che i registi si sono completamente affidati a me. Già in fase di provini ho saputo che Antonio Le Fosse (Uno dei registi ndr.) si è battuto molto per avermi nel progetto, nonostante ci fossero tanti attori validi per interpretare il ruolo di Schiavone. Questa fiducia sul set è stata confermata. Quando durante le riprese mi è capitato di avanzare proposte su alcune scene, ricordo che Nicola Sorcinelli (Un altro dei registi ndr.) mi rispondeva ‘tu conosci Schiavone più di chiunque altro’. Una cosa molto rara sentirsi dire queste parole da un regista. Se lo dicono è perché ci credono veramente. Io mi associo a queste sensazioni, perché con Schiavone ho avuto subito un’adesione: personaggio e persona si sono trovati fin dalle prime battute. Il mio personaggio rappresenta a pieno il mio pensiero sulla libertà, che non è una parola astratta. Carmine Crocco, uno storico brigante, diceva che la libertà è la capacità di partire dalla voce della propria anima e avere il coraggio di dire ‘questo è mio’, un’appartenenza totale a qualcosa. Schiavone è un uomo libero che insegue il potere, finché per potere s’intende inseguire la propria voce. Il suo scopo è quello di riappropriarsi della propria terra, a prescindere dalle bandiere e dalle casacche.
Secondo me il pubblico dovrebbe guardare questa serie immergendosi totalmente nella storia. In questa serie c’è una fotografia rara, una ricchezza di colori, di musiche, di costumi. Il contesto storico fa da cornice ad una storia intricata, ricca di colpi di scena, dove annoiarsi è impossibile. Tutti i personaggi sono ben scritti e ben interpretati, e questo lo dico da spettatore.
Schiavone rappresenta a pieno il mio pensiero sulla libertà

Possibili analogie tra i personaggi
Una mia maestra di recitazione diceva che l’attore è colui che riesce ad essere intimo in pubblico. L’introversione e l’estroversione dei personaggi deve essere dosata bene, perché altrimenti si rischia “solo” di intrattenere il pubblico, senza lasciargli qualcosa di concreto. La base della recitazione sta nell’ascolto dell’altro e nella sua reazione. Se qualcuno vede analogie tra i personaggi che un attore ha interpretato nel corso della sua carriera è assolutamente soggettivo.
l’attore è colui che riesce ad essere intimo in pubblico
Suburræterna e l’affascinazione per gli ultimi
Un progetto che mi è piaciuto fin dall’inizio. Soprattutto mi piace quando le storie raccontino di realtà complesse, così com’è stato per il brigantaggio, in Suburra si parla di una Roma che non si vede tra le strade “Instagrammabili”, quella di Ostia, dell’idroscalo. Quella è una realtà in cui è stato meraviglioso immergersi. Personalmente ho una fascinazione per gli ultimi e quando si tratta di interpretare personaggi che hanno poca voce in capitolo, ma che hanno delle storie straordinarie, io accetto immediatamente.

È stata la mano di Dio
Marchino (Il personaggio interpretato in “E’ stata la mano di Dio” ndr.) è un personaggio d’impatto che ho sentito subito vicino. Lui è un fratello maggiore, come lo sono io nella mia vita reale e ho subito pensato di potergli dare qualcosa. Il mio approccio in questo, così come accade in altri progetti, è essere il più sincero possibile. Per quanto riguarda tutto il contorno, da Venezia agli Oscar e a tutto ciò che ne consegue, ci pensi quando magari quel turbinio si placa, ti metti a letto e pensi ‘sto andando bene, sono contento di quello che sta succedendo’. Anche perché se un regista di grande livello come Paolo ti affida un ruolo, è un grandissimo stimolo per andare avanti.

Il mestiere dell’attore e le occasioni per fallire
Sul piano professionale sono molto contento. Poi è ovvio, si sbaglia, e si sbaglia sempre meglio, come diceva un altro dei miei maestri. L’importante è fare. Se non fai, non sbagli; se non sbagli, non impari. Sono contento di avere tante occasioni per fallire, perché poi arrivano anche tante soddisfazioni. Sono tutte sensazioni da dosare bene, altrimenti rischi di diventare il personaggio di te stesso. La mia famiglia è fiera, io sono fiero e va bene così.
Il rapporto con il successo (e con le interviste)
Non mi piacciono particolarmente le interviste perché sono una persona riservata, non mi piace parlare di me. Voglio semplicemente fare il mio lavoro. Faccio un esempio: un macellaio diventa famoso se la carne è buona, non perché ti dice quanta fatica c’è dietro al suo lavoro. I miei sacrifici sono moderati rispetto a quelli che magari vengono fatti per fare bene altri lavori. Preferisco aspettare un complimento sincero fatto da qualcuno che mi ha visto in una serie o in un film, senza ulteriori suggestioni. Il successo se arriva, sono contento. Non mi è mai successo di essere fermato per strada e ritrovarmi a vivere qualcosa di sgradevole.