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La stanza accanto di Pedro Almodóvar: la poesia dell'ultimo respiro - Pop Corn Club
sabato, Aprile 19, 2025

La stanza accanto di Pedro Almodóvar: la poesia dell’ultimo respiro

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“La neve cadeva su ogni punto dell’oscura pianura centrale, sulle colline senza alberi, cadeva lenta sulla palude di Allen e, più a ovest, sulle onde scure e tumultuose dello Shannon. Cadeva anche sopra ogni punto del solitario cimitero sulla collina, dove era sepolto Michael Furey. Si ammucchiava fitta sulle croci contorte e sulle lapidi, sulle punte del cancelletto, sui roveti spogli. La sua anima si dissolse lentamente nel sonno, mentre ascoltava la neve cadere lieve su tutto l’universo, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e su tutti i morti”

Così James Joyce, ne I morti di Gente di Dublino, usa la neve per avvolgere vivi e morti, dissolvendo distinzioni e certezze. È un’immagine potente, che racconta la fragilità umana e l’inevitabile uguaglianza dinanzi alla fine.

Pedro Almodóvar riprende questo tema universale nel suo nuovo capolavoro, La stanza accanto, vincitore del Leone d’Oro alla 81ª Mostra del Cinema di Venezia e al cinema dal 5 dicembre 2024. Qui la morte non è solo il punto finale di una narrazione, ma una lente La Stanza Accanto, tratto dal romanzo di Sigrid Nunez What Are You Going Through, è un’opera che non si limita a narrare, ma disseziona con chirurgica delicatezza il tema della morte, dell’eutanasia e dell’intimità umana. La Stanza Accanto si addentra con maestria nelle zone grigie dell’etica e dell’emotività. Riflette sull’eutanasia, sulla libertà di scegliere come concludere il proprio percorso, e sul significato profondo di accompagnare qualcuno nel momento più intimo della propria esistenza. Almodóvar non cerca risposte definitive, ma svela la complessità e la bellezza intrinseca di un atto che è al contempo personale e universale.

Almodóvar si ispira alle pagine di Nunez, dove aleggia l’ombra della scomparsa di Susan Sontag, e trasfigura questa traccia in un film di raro spessore colmo di richiami cinematografici e letterari.

La stanza accanto

Tilda Swinton interpreta una scrittrice affermata, una figura carismatica e distante, che osserva la propria imminente dipartita con quello che si potrebbe definire uno stupore analitico. La morte, che allontana per definizione, diventa qui il filo sottile che riannoda due esistenze ormai separate.

Ingrid (Julianne Moore) è una scrittrice di successo, reduce dalla pubblicazione di un libro che esplora il tema della mortalità. Martha, invece, è un’ex reporter di guerra, devastata da un cancro alla cervice che nemmeno le cure sperimentali più ardite sono riuscite a vincere da portarla ad una decisione radicale: porre fine alla sua esistenza alle proprie condizioni, con una pillola acquistata sul dark web. Manca solo il “quando” e il “dove”.

Attraverso dialoghi e confessioni, Martha sembra affidare la propria storia a Ingrid, come se il raccontarsi fosse un ultimo atto di resistenza contro il silenzio. “Io ho vissuto la guerra, quella vera. Il resto sono tutte uguali,” dichiara Martha con una lucidità spietata. Le sue parole non solo riflettono sul tempo che le è stato concesso, ma illuminano i legami costruiti e quelli mai nati, come quello con la figlia, e il progressivo sgretolarsi della sua mente, che considera la perdita più devastante di tutte.

Nel cuore del film, Martha chiede a Ingrid un gesto straordinario: accompagnarla nei suoi ultimi giorni in una casa vacanze fuori New York. “Come in guerra si veniva accompagnati,” spiega Martha. E così, in quel rifugio circondato dalla quiete, le due donne condividono il loro tempo, il silenzio e il peso delle scelte. Quando sarà il momento, Martha vuole che Ingrid rimanga nella stanza accanto. Non una presenza invadente, ma un respiro vicino, una mano simbolica ad accompagnarla verso l’ignoto.

Un incontro intimo con la morte

In La stanza accanto, Pedro Almodóvar ci conduce in un territorio liminale, dove la vita e la morte danzano insieme in un valzer di colori, parole e silenzi. È un’opera audace, profondamente umana, che esplora l’effimerità dell’esistenza con uno sguardo insieme struggente e liberatorio. Al centro della narrazione troviamo Martha, una donna consumata dalla malattia, la cui mente, appesantita dalla chemioterapia, sembra aver perso la capacità di abbracciare le gioie più semplici e intime: la lettura, la musica, la curiosità che un tempo l’aveva definita.

C’è una scena in particolare che distilla questa condizione in pura poesia visiva: Martha, seduta su una sedia a sdraio, ascolta il canto degli uccelli. I colori saturi che la circondano – il rossetto rosso sulle sue labbra, il maglione cremisi di Ingrid, la cucina di un vivido scarlatto – contrastano con i toni pastello del divano e dei mobili circostanti. È un quadro che comunica senza parole: la vita, anche nella sua fragilità, continua a pulsare di bellezza, mentre la morte si avvicina silenziosa.

Eppure, il film non è un requiem. Almodóvar non si abbandona alla disperazione, ma trasforma la tragedia in un inno al libero arbitrio e all’intelletto umano. Il viaggio di Martha verso la fine è sorretto da Ingrid, amica e scrittrice, la cui sensibilità unica permette di accogliere l’inevitabile senza giudizio, sublimandolo in un racconto che celebra il legame tra le due donne e, più in generale, l’essenza stessa della vita. Non c’è spazio per l’astio, né per sterili dibattiti morali: ciò che conta è l’accettazione e la celebrazione di un’esistenza vissuta con intensità, fino all’ultimo respiro.

Almodóvar, con la sua consueta maestria, inserisce tocchi di umorismo sottile, quasi irriverente, che spezzano la malinconia e rendono il racconto sorprendentemente catartico. Ridere della morte non è banalizzarla, ma sottrarle il potere di paralizzarci con la paura. In questo senso, La stanza accanto è un’opera profondamente liberatoria: ci invita a riflettere su ciò che diamo per scontato, sugli attimi preziosi che la routine quotidiana ci sottrae, e lo fa con una delicatezza universale, come la neve di Joyce che cade indistintamente su tutti noi.

Le due interpreti principali, straordinarie nella loro intensità, portano in scena non solo due personaggi, ma due visioni del mondo, due modi di affrontare l’inevitabile. La loro alchimia è il cuore pulsante del film, un dialogo che non si limita a raccontare una storia, ma che invita il pubblico a immergersi in un’esperienza emotiva totalizzante.

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Valeria Lanza
Valeria Lanza
Nata sotto il segno del Capricorno con l'intensità di Jared Leto e la profondità di Tolkien, ascendente in Brad Pitt e l'energia travolgente di Churchill, con una Luna che fonde la sensibilità di Virginia Woolf con il fascino di Margot Robbie.

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