Già vincitore del Premio Strega 2017 con “Le otto montagne” – libro trapiantato al cinema da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, interpretato da Luca Marinelli e Alessandro Borghi – Paolo Cognetti torna a raccontare il suo legame con la montagna e lo fa con la sua prima regia, interpretazione e sceneggiatura di “Fiore Mio”, nelle sale solo dal 25 al 27 novembre 2024.
Insieme alla fotografia incantevole di Ruben Impens, l’altro elemento che risveglia i sensi è quello sonoro, con le musiche di Vasco Brondi e il brano Fiore Mio di Andrea Laszlo De Simone.
Il Monte Rosa come protagonista di Paolo Cognetti
C’è un sentire che parte dal basso, che fa come per poggiare l’orecchio per terra, disposto all’ascolto delle radici. Paolo Cognetti con Fiore Mio fa proprio questo: si dispone all’ascolto della montagna e del suo essere, con la compagnia del Monte Rosa, protagonista del film.
Così Cognetti, in questo docufilm di 80 minuti, invita il pubblico al silenzio attivo dello sguardo, subito pieno di ghiaccio, alberi maestosi, animali, cieli limpidissimi e un sonoro eco di pace.
Al centro del racconto, scandito dai passi di Paolo e del suo cane Laky, c’è il Monte Rosa con la bellezza avvolta da un velo di sereno mistero. Il cammino di Paolo attraversa i ghiacciai, le riserve naturali, esterni poetici e puliti, e gli interni dei rifugi, riempiti e vissuti da amiche e amici di vecchia data, con cui l’incontro diventa momento di confessione e racconto.
L’amicizia e le esperienze comuni: la montagna che unisce
Laky, l’amico zen a quattro zampe, non è l’unico ad accompagnare Paolo in questo percorso di conoscenza e devozione nei confronti del Monte Rosa. La regia, infatti, si sposta continuamente dall’esterno dei paesaggi all’interno dei rifugi che diventano luogo di racconto e di intime chiacchierate. Sono luoghi dell’anima che hanno a loro volta un’anima, che fanno da cassa di risonanza alle parole dei rifugisti, un pò come le scatole di biscotti della nonna proteggono l’infanzia. È proprio il senso di pienezza che caratterizza i bambini amati che traspare dai dialoghi tra i rifugisti. Non hanno bisogno di nient’altro se non del calore di quei ghiacciai, di quel silenzio pieno di significato e di quella connessione intima e profonda che spesso sfugge alla vita frenetica tipicamente occidentale. Fiore Mio è infatti un racconto dalle sfumature orientali, con momenti di meditazione e pratiche yoga, in cui più che accendere l’attenzione sulle persone lo si fa sui luoghi, sugli elementi naturali come il legno, il ghiaccio, la roccia, il fuoco, la ricerca dell’acqua.
E soprattutto, lo fa legando le persone a questo comune sentire e comune vivere la montagna, quasi come fosse una loro piccola Costituzione, una religione.
“Io vorrei Niente”
In un mondo dal racconto spesso insoddisfatto, che spinge su qualcosa di represso o che iper produce stagioni e sequel, Fiore Mio regala un senso di appagamento.
I dialoghi, gli incontri, persino le inquadrature e infine la frase di un rifugista, sono connaturati da calma e pienitudine.
Al “cosa vorresti?” di Paolo ai rifugisti, la battuta di uno vale per tutti.
“Io vorrei niente” è la risposta che si fa regalo per chi lo prova e per chi ascolta, in chiusura di Fiore Mio di Cognetti, un vero e proprio canto alla montagna.
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