Dal 7 al 10 novembre, Istanbul avrebbe dovuto ospitare il Mubi Fest 2024, uno degli appuntamenti cinematografici più importanti dell’anno. Ma, a nemmeno 24 ore dall’inizio, il festival è stato cancellato. E perché? Perché il film di apertura, Queer di Luca Guadagnino, è stato vietato dalle autorità turche. Il motivo ufficiale? “Materiale provocatorio che potrebbe mettere a rischio la pace sociale”, come scritto nel comunicato delle autorità locali. Ma chi non legge tra le righe sa che la vera ragione è un’altra: il film racconta una storia d’amore tra due uomini, e nella Turchia di Erdogan anche solo il pensiero di una narrazione che sfida la visione conservatrice della società è sufficiente per scatenare l’ira della censura.
Il comunicato di Mubi non lascia spazio a fraintendimenti: l’annullamento non è stato solo un danno organizzativo, ma una dichiarazione di principi. “Queer” non era solo un film, ma un atto politico. Era, nelle parole del regista, l’opera più personale della sua carriera, una confessione intima e artistica, una ricerca sul corpo e sull’anima. Scegliere di raccontare Queer non significava solo fare un omaggio a William S. Burroughs, ma anche interrogarci su ciò che significa essere vivi, desideranti, e vulnerabili. In una società dove il corpo è sempre stato strumento di oppressione, dove l’amore tra persone dello stesso sesso è ancora visto come un crimine contro natura, Guadagnino ha scelto di portare in scena una verità che non può essere ignorata.
L’annullamento del festival è una sconfitta per la cultura e per il diritto all’autodeterminazione artistica. Ma se ci fermiamo qui, rischiamo di non capire a fondo la portata di ciò che è successo.
Queer: Il romanzo di W.Burroughs e la sua trasformazione cinematografica
Queer è il secondo romanzo di William S. Burroughs, scritto tra il 1951 e il 1953, ma pubblicato solo nel 1985 a causa della sua natura scandalosa. Racconta la storia di William Lee, alter ego di Burroughs, che si innamora di Allerton, un giovane ambiguo e distaccato. La trama si sviluppa in una Città del Messico oscura e pericolosa, tra locali sordidi e un ambiente degradato che Burroughs definisce “Interzona”. Con il suo tipico umorismo nero, Queer esplora temi di dipendenza, desiderio e alienazione. Il romanzo, spesso considerato semi-autobiografico, riflette l’esperienza di Burroughs con la droga e la sua visione disillusa della realtà. La forza di Queer sta nel suo potere di rivelare la realtà nella sua forma più cruda, quella che fa più male.
Spirito senza corpo alla “fiera del dolore” di Guadagnino
La sceneggiatura di Guadagnino è un’indagine esistenziale sulla difficoltà di conciliare il corpo e lo spirito, il desiderio e la rimozione. La storia d’amore tra i due protagonisti è solo un pretesto per trattare i meccanismi più profondi che muovono due individui che si cercano continuamente. La sequenza iniziale, con la ripresa a piombo di oggetti personali disposti casualmente su un materasso, è solo il primo indizio di questa ricerca. Oggetti come una macchina da scrivere, una rivoltella, degli occhiali: piccole tracce di una vita vissuta tra la trasgressione e la solitudine, tra il desiderio di autenticità e la paura di perdere il controllo.
In questo senso, Guadagnino fa ciò che i registi più temerari dovrebbero fare: esplorare la carne e l’anima di un personaggio senza risparmiarsi. Non è un caso che Queer prenda come punto di partenza la carne del protagonista, William Lee (interpretato da un Daniel Craig straordinario), per arrivare infine alla sua negazione, al “disembodiment” che definisce la sua esistenza. La relazione tra Lee e il suo amante Allerton è solo il pretesto per raccontare una ricerca più profonda, quella di conciliare la fisicità del corpo con le tensioni interiori che lo animano, tra tormenti, dipendenze e un costante desiderio di fuga dalla realtà. La bellezza di Queer risiede proprio nella sua tensione tra corpo e spirito, tra la carne che brama amore e la mente che la rifiuta. Guadagnino, seppur consapevole della superficie patinata che il suo cinema sa regalare, riesce a mantenere un punto di vista critico verso la realtà che racconta. Le scenografie che ricreano Città del Messico sono, come tutto nel film, incredibilmente curate e iperrealistiche, ma il loro carattere bidimensionale non è un errore. È una scelta stilistica, una metafora visiva del disorientamento dei protagonisti, della loro incapacità di fare i conti con una realtà che si fa sempre più onirica e fantasmagorica, sempre più lontana dalla concretezza del mondo.
Manifesto censurato al Mubi Fest
Portare sullo schermo un romanzo di William S. Burroughs, autore tanto celebre quanto controverso, è una mossa rischiosa. Non solo perché si maneggiano temi scabrosi, ma anche perché si rischia di essere inghiottiti dalla stessa leggenda che, dopo la morte dell’autore, è diventata il metro con cui si misura la trasgressione in arte. Burroughs, con il suo universo allucinato e il suo linguaggio che sfida ogni limite, ha costruito una reputazione che ormai trascende la sua stessa scrittura. La sua figura è diventata il simbolo dell’audacia artistica, e chiunque tenti di avvicinarsi al suo lavoro si trova inevitabilmente a fare i conti con questo peso. Queer, però, pur facendo parte di quel mondo burroughsiano, è un’opera che, nel suo piccolo, tenta di sganciarsi da quella pesante eredità per intraprendere una strada tutta sua. Mentre Il pasto nudo di Cronenberg, con la sua ossessione per la parola, dava carne al corpo, Queer di Guadagnino parte proprio dal corpo, dal desiderio, dalla carne per arrivare a negarla, per mostrarci la sua fragilità, la sua perenne inadeguatezza, e infine il suo dissolversi in qualcosa di spettrale.
Quando Guadagnino dice che Queer è la sua opera più personale, non sta cercando di assecondare i gossip, come spesso accade con i registi più “alla moda”. Non è una dichiarazione da red carpet, ma una dichiarazione di intenti. Guadagnino sta dicendo qualcosa di profondo: questo film non è solo un’esplorazione del desiderio, ma un atto di nuda e cruda confessione. È un film che non si accontenta di giocare con le immagini, ma entra nei territori più dolorosi e intimi dell’esistenza. È un’opera in cui il corpo non è solo il mezzo per raccontare una storia, ma è il terreno stesso su cui si combatte la lotta più grande, quella tra la carne e l’anima, tra il piacere e la perdita, tra la vita e la morte. E in questa battaglia, il corpo stesso non esce mai veramente vittorioso: diventa il veicolo di una libertà che non si raggiunge mai, ma che resta sempre lì, sospesa, nell’aria. La giungla sudamericana, che alla fine del film accoglie i protagonisti, diventa il luogo dove il corpo, come un fantasma, si dissolve. Non è più il corpo desiderante, ma quello che ha perso ogni connessione con sé, quello che non sa più cosa sia, se non un contorno, una forma priva di significato. Questo, credo, è il cuore pulsante di Queer: la consapevolezza del corpo, la sua dolorosa evidenza, e la sua continua frustrazione, che lo porta a un esito inevitabile: la sua negazione. E, in questo passaggio, il corpo diventa non più il mezzo, ma il simbolo della nostra umanità in crisi, della nostra costante ricerca di qualcosa che non possiamo mai afferrare davvero. Il corpo, quindi, è tutto in questo film. È l’unico, vero protagonista, ma è anche la sua condanna. E Guadagnino non ha paura di mostrarci la sua fragilità, il suo annullamento. Piuttosto che alimentare il mito della trasgressione, Guadagnino sembra volerci dire che la vera audacia sta nell’affrontare il dolore della consapevolezza, senza mascherarlo, senza fuggirne. E in questo, forse, risiede la sua vera grandezza.
La censura turca, come quella di tanti altri regimi autoritari, non ha capito che Queer non è un’opera per agitare masse, ma per svelare un dolore universale: quello tra il desiderio e la paura di viverlo. “I’m not queer, I’m disembodied”, dice il protagonista William Lee nel film, un’affermazione che è insieme una condanna e una liberazione. Il corpo, inteso come terreno di lotta, non può essere separato dall’anima: questa è la verità che le autorità turche hanno cercato di seppellire.