Anora, la Palma d’oro di Cannes 2024 diretta da Sean Baker, è arrivata nei cinema italiani pronta a dividere il parere del pubblico e creare dibattito.
Anora, una giovane sex worker di Brooklyn, ha la possibilità di vivere una storia da Cenerentola quando incontra e sposa impulsivamente Vanya il figlio di un oligarca russo. Quando la notizia arriva in Russia, la sua favola è minacciata: i genitori partono per New York per far annullare il matrimonio.
Non Pretty Woman, non Cenerentola
La commedia di Baker riprende un vecchio cliché usato più volte nel cinema, ma cerca di dargli una nuova prospettiva o una moderna attualizzazione. Anora non si innamora mai veramente di Ivan, ma vede in lui la possibile via di fuga dalla routine che la obbliga a lavorare con il suo corpo.
Nelle sequenze iniziale il disagio e lo sfruttamento delle spogliarelliste si evince più dai clienti che non dal loro comportamento o dialoghi, “un cliente mi ha detto che gli sembrava di stare con sua figlia di 18 anni” è forse la frase più cruda e rappresentativa del film. Questo perché il film nella prima parte resta nei toni della commedia, della fiaba, non scende mai veramente in profondità.
Una fiaba psichedelica e claustrofobica il cui principe azzurro è un inetto, i personaggi secondari sembrano usciti da qualche film Disney, ma raccontano le sfaccettature di un proletariato che teme la reazione del padrone più di ogni altra cosa.
La consapevolezza del proprio corpo come strumento di potere sul giovane Ivan, rendono il film più distante da Pretty Woman e più vicino al recente Povere Creature, dove il sesso diventa un modo per elevarsi socialmente e ottenere una indipendenza economica.
Palma d’oro discussa
Le commedie raramente vincono ai Festival, è una legge non scritta delle competizioni cinematografiche, ma perché allora Anora ci è riuscita?
La presenza in giuria a Cannes nel ruolo di presidente di Greta Gerwig, sempre molto sensibile al tema, ha sicuramente dato una grossa mano, ma la risposta probabilmente risiede nel fatto che “Anora” è una commedia travestita, camuffata, le inquadrature, le luci, i dialoghi così serrati, la rendono a tratti quasi un thriller, le risate sono dovute al continuo cambio di registro più che a gag comicamente scritte.
In questo mix ne esce vincitrice Mikey Madison che viene molto valorizzata e che potrebbe puntare a una candidatura agli Oscar.
Il finale
Il finale non è un lieto fine, è un finale crudo che sottende che in un mondo di sesso alle volte anche un piccolo gesto d’amore può scaturirne un pianto liberatorio.
