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L’Occhio della Gallina: Un’autobiografia ribelle per ritrovare il senso del noi - Pop Corn Club
giovedì, Aprile 17, 2025

L’Occhio della Gallina: Un’autobiografia ribelle per ritrovare il senso del noi

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Nel panorama del cinema italiano, spesso caratterizzato da conformismi e compromessi, emerge con forza L’Occhio della Gallina di Antonietta De Lillo, un film che è insieme confessione e manifesto. Questo autoritratto segna una pietra miliare nella carriera della regista, costretta da anni ai margini della scena cinematografica a causa di una disputa giudiziaria che ha bloccato la distribuzione del suo film più riuscito. Un’opera che ha scelto di mettere al centro non solo la propria vicenda personale, ma anche la lotta di chi si sente travolto da un potere ostile e distante, un potere che isola e spesso reprime. Attraverso interviste, archivi e testimonianze personali, De Lillo racconta la sua storia e quella di un cinema indipendente che si piega ma non si spezza.

Ne “L’Occhio della Gallina”, la regista si racconta con un linguaggio ibrido, che mescola finzione e realtà, dando al film una struttura originale, mai completamente definita: “Ogni volta che inizio un film è un’avventura nuova,” spiega la regista, “non ho mai una visione precisa di quello che sarà. Parto da un’idea, ma poi il film prende forma grazie alle scelte e agli incontri, grazie alle persone che mi accompagnano nel processo. Per questo film, però, sapevo di voler raccontare la mia storia, anche se significava essere allo stesso tempo regista e protagonista.”

La storia di tutti

Alla base della scelta di raccontarsi ci sono l’urgenza e la consapevolezza di non essere sola nella sua esperienza. “La mia storia riguarda tanti altri,” dice, “tante persone che si sentono sopraffatte da un potere ingiusto e da una giustizia spesso inefficace. Penso sia una storia importante, capace di dare forza a chi si trova in situazioni simili. Se racconto vent’anni di processi, di sentenze vinte che non sono mai state rispettate dal ministero, non dal vicino di casa, ma da un ente pubblico, racconto anche la resistenza di chi, come me, non si arrende e non china la testa.”

Con questo film, la regista punta a offrire uno strumento di riflessione critica e invita lo spettatore a guardare il potere da una nuova prospettiva: non più come un’entità intoccabile, ma come una realtà con cui, da cittadini, si può e si deve dialogare. “L’Occhio della Gallina è un film politico, e mi auguro che chi lo guarda si senta stimolato a reagire di fronte alle ingiustizie. Vedo nelle proiezioni che le persone si riconoscono nella mia storia, e forse vedono in essa una via per reagire, per capire che abbiamo più forza di quanto ci facciano credere.”

Il teatro di posa

Le immagini del film alternano momenti intimi e ambientazioni surreali: un “teatro di posa” come lo definisce la regista, quasi uno scantinato in cui il suo alter ego, rappresentato simbolicamente da una gallina, si muove come fosse una figura protettiva e sfuggente. Questo personaggio insolito simboleggia la De Lillo stessa: “È come se la gallina fosse il mio alter ego, un angelo custode, una guida. È qualcosa che mi sostituisce, che cammina al posto mio, quasi fosse un simbolo della mia resistenza.” Il film, quindi, si costruisce non solo sulla linearità della narrazione, ma su simboli che arricchiscono e amplificano la portata del messaggio.

Un’opera come L’Occhio della Gallina non vuole semplicemente raccontare una storia individuale, ma aprire uno spazio di confronto e di riflessione sociale. Come dichiara la regista, “Mi auguro che sia un’occasione di dialogo, perché viviamo in un’epoca in cui sembra impossibile pensare al bene comune. Questo è quello che più mi preme: il senso del ‘noi’. Da sola, per vent’anni, ho lottato per affermare il diritto a fare cinema libero e indipendente; mi auguro che il mio film dia fiducia a chi cerca di cambiare il proprio contesto e non si rassegna.”

Il messaggio di Antonietta De Lillo

Il messaggio è chiaro: L’Occhio della Gallina è un invito a guardare al di là del singolo individuo, alla possibilità di costruire comunità. Nelle sue parole, De Lillo esprime una volontà di trasformare il dolore e l’isolamento in qualcosa di universale, di trasformare la sua esperienza di esclusione in una piattaforma di resistenza collettiva: “Il cinema per me è questo: un mezzo che aiuta a creare ponti, a ritrovare il senso di appartenenza. Lavoro per fare film che vadano oltre me stessa, che siano un punto di riferimento per chi, come me, cerca un modo per non fermarsi.”


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