Parthenope di Paolo Sorrentino non è un mito o una sirena. Parthenope è una donna di incomparabile bellezza che conduce lo spettatore in un viaggio che parte dagli anni ’50 e arriva fino al 2023, l’anno dello storico scudetto del Napoli.
Era già tutto previsto?
Un film di sorrentiniana lentezza disarmante, variegato e ricco, audace e folle. Un’opera al femminile spregiudicata, che non teme giudizi. Anche in questo film, così come negli iconici “La grande bellezza” e “E’ stata la mano di Dio”, un cast corale aderisce perfettamente ad una narrazione iconica e camaleontica, capace di toccare ogni registro cinematografico, ma soprattutto, umano.
Ogni personaggio che si sussegue, dalla diva decadente interpretata da Luisa Ranieri, al Vescovo Tesorone, interpretato da un Peppe Lanzetta in stato di grazia, prende per mano la protagonista e l’accompagna nel suo viaggio temporale ed emotivo, insieme allo scrittore, interpretato da Gary Oldman e al suo professore di antropologia (Silvio Orlando), che riesce a mostrarle un modo nuovo di vedere.
“Era già tutto previsto, fino al tempo che sapevo”: lo sapeva Cocciante (la cui canzone fa da colonna sonora al film) e lo sapeva Paolo Sorrentino quando ha deciso di affidare il ruolo più importante alla debuttante Celeste Dalla Porta, che fluttua, guidata dagli occhi del regista, attraverso i miti, le risposte sbagliate alle domande giuste, felicità, insoddisfazione, libertà. Non a caso Sorrentino è tra pochi registi in Italia a lanciare dal nulla attori anche alle prime esperienze, più malleabili e forgiabili per la sua idea di cinema e del film, riuscendo allo stesso tempo a valorizzare quegli attori già affermati o di caratura mondiale, trovando spesso il giusto connubio.
A cosa stai pensando?
“A cosa stai pensando?” è una delle frasi ricorrenti del film, ma è il vedere l’ultima cosa che resta, a differenza delle sirene che ammaliavano con il canto, Parthenope incanta con gli sguardi, il non detto gli amori della sua vita, e in un film ricco di dialoghi brillanti, risposte sempre pronte, il tutto si poggia su un visivo curato in maniera maniacale.
Ma questa è anche una delle domande che leggiamo più volte, basti pensare a Facebook che ce lo chiede ogni volta che apriamo l’app, e a cui spesso rispondiamo di istinto o distrattamente o peggio ancora in maniera convenzionale, e anche Parthenope ci mette tutta una vita a rispondere.
Le conseguenze dell’amore lento
La Napoli raccontata tramite anche i personaggi, è una Napoli meno nevrotica, che procede a passo lento, con un racconto che ricorda più “C’era una volta in America” nel suo scorrere del tempo, e se Parthenope si chiedesse “cosa hai fatto in tutti questi anni?”, invece di essere andata a letto presto direbbe “ho amato per provare a sopravvivere”.
La lentezza, che spesso viene criticata nei film, qui accompagna Parthenope tra gli amori irrisolti giovanili, nella sua crescita personale e professionale, e dà respiro al film, anche con la regia di Sorrentino stavolta meno barocca e ricercata, più intima.
Napoli è Parthenope
Il mischiare sacro e profano, tra il mito di san Gennaro, scudetto del Napoli, camorra, Capri fa della città uno sfondo che influenza i personaggi, il loro agire, il loro vedere, il loro pensare. Ma come una madre che non puoi scegliere, non tutti i personaggi ne restano innamorati, qualcuno rinnega Napoli, non la regge, e finisce per odiarla.
Parthenope è un viaggio, anche se statico, nuovo, epico e intrigante, sulla lunghezza e la brevità della vita, attraverso figure, uomini, donne, che ammaliano, incantano, feriscono, ci ingannano, come una sirena, come Napoli, come Paolo Sorrentino.
