George Miller fa ritorno a Cannes, questa volta presentando fuori concorso “Furiosa: A Mad Max Saga”, prequel del celebre e acclamato “Fury Road” del 2015. Il film segue l’infanzia e la crescita dell’eroina, fino a vederla diventare la “pretoriana” alla guida della famosa blindocisterna, interpretata da Charlize Theron nel precedente film.
Furiosa (interpretata da Anya Taylor-Joy) rappresenta il tentativo di George Miller di espandere e approfondire la mitologia della saga. Qui, il campo d’azione serve come strumento per comprendere e attualizzare le dinamiche e i fenomeni dell’universo da lui creato; quindi per mostrare l’espansione del proprio universo e del worldbuilding ideato, mettendo in primo piano tutto ciò che precedentemente era stato messo off-screen (Gas Town e Bullet Farm) e in seguito continuando il proprio discorso sul futuro del mondo.
Il polo dell’inaccessibilità e il giardino dell’Eden
“Furiosa: A Mad Max Saga” ci riporta alle origini della vita, al Giardino dell’Eden, o alla versione distopica del Paradiso biblico. Il film segue una struttura complessa a capitoli, raccontando una versione favolistica della perdita dell’innocenza e della trasformazione di essa in una vendetta psicopatica con il finale che rimanda inevitabilmente a “C’era una volta il West”.
Furiosa, da bambina innocente, si ritrova dal raccogliere un semplice frutto nel “luogo verde”(il territorio matriarcale dell’abbondanza), a essere brutalmente punita per anni; smarrendo in un’istante la strada per casa e la propria purezza. Viene rapita da Dementus, (interpretato da Chris Hemsworth) un signore della guerra simile al Lord Humungus di “Mad Max”, con un aspetto disgustoso, barba folta e un orsacchiotto che porta sempre con sé come monito di un’innocenza perduta ormai tempo fa. Entrambi condividono un tragico passato, ma mentre Max diventa un eroe solitario, Dementus rivela un sadismo raccapricciante e insaziabile. Ogni sua azione è motivata dalla costante ricerca del “Paradiso perduto” o di una speranza che possa dare un senso alla sua esistenza nel vuoto del deserto.
George Miller mostra e rafforza tutto il proprio interesse per i miti: dall’uso di alcuni simbolismi, a volte fin troppo stucchevoli ed abusati (sequenza iniziale della mela), ai poemi omerici con il tema dell’assedio tratto dall’Iliade e quello del viaggio per ritrovare casa come Ulisse nell’Odissea. Continuando con la mitologia norrena e il mito delle valchirie. Le donne sono presentate fin dall’inizio come formidabili guerriere, indipendenti dall’uomo e dal resto del mondo. La scena iniziale è particolarmente evocativa in tal senso, mostrandole in un inseguimento a cavallo, armate di fucili, per cacciare l’invasore da una terra incontaminata, come delle amazzoni.
“Mia madre. La mia infanzia. Li rivoglio indietro. Li rivoglio!”

Rivendicazione di un ruolo
L’opera di George Miller mira a promuovere temi e sensibilità legate alla figura femminile, inserendo “Furiosa: A Mad Max Saga” nel panorama ideologico odierno. Un discorso già avviato precedentemente con la pellicola del 2015, l’oggettificazione del corpo femminile è impiegata per esprimere una rivendicazione femminile. Questa si concretizza nell’acquisizione di un proprio ruolo all’interno della narrazione e del genere cinematografico, evitando la retorica ed è proprio tale approccio a mettere in luce una storia di vendetta universale.
In Fury Road Miller ci ha dimostrato che il modo in cui si interpreta un ruolo può superare il ruolo stesso e il giudizio su di esso. Non c’è una ribellione contro il loro ruolo femminile, ma piuttosto un’accettazione di esso. Le stesse donne costrette ad una azione, compiono la stessa azione su una scala diversa e per libera scelta; infatti colei che lotta per prendere decisioni autonome può definirsi libera, senza scendere a compromessi né rinunciare a parti di sé.
I personaggi femminili di Miller sono così: fanno scelte libere senza rinunciare alla loro identità di donne. Le donne sono personaggio mantenendo appieno le proprie caratteristiche femminili, compresa la bellezza; è importante pensare in tal senso, alle ragazze tenute rinchiuse nella “voliera” da Immortan Joe.
Furiosa, il più oscuro degli angeli. Quinto cavaliere dell’apocalisse.
Ogni aspetto di “Furiosa: A Mad Max Saga” – non solo l’immacolato sound design di Rob Mackenzie e la colonna sonora tonante di Tom Holkenberg, ma anche il dialogo minimale che è intervallato tra loro – è orientato verso lo scopo condiviso di creare un’armonia tra le persone e i macchinari del Wasteland.
Il virtuosismo dell’approccio di Miller è così minuzioso che si potrebbe quasi non notare quanto raramente parli Furiosa effettivamente; come Charlize Theron prima, Anya Taylor-Joy trasmette tanta forza e disperazione solo attraverso lo sguardo, bruciante e talmente disilluso, che le parole rischierebbero solo di sminuire l’impareggiabile purezza del proprio volere. Questa crescente intensità si adatta perfettamente al modello stabilito per il personaggio, e la credibile somiglianza di Taylor-Joy con Theron e per la prima parte del film con la promettente Alyla Browne è solo la ciliegina sulla torta. Ed è proprio per questo motivo che Furiosa riesce a essere un personaggio cinematografico così credibile da diventare iconico ben due volte, in due momenti diversi.
“Mentre il mondo cade intorno a noi, come dobbiamo affrontare le sue crudeltà?”

Mondo meccanico
Miller utilizza una computer grafica più invasiva rispetto a “Fury Road”, integrandola nello stile visivo del film. L’uso della CGI crea, grazie ai nuovi scenari, un contrasto tra la sabbia rossa su cui sfrecciano i veicoli e il paradiso perduto ammirato all’inizio del film. Questo sottolinea come l’utilizzo della computer grafica debba essere considerato come un obiettivo da raggiungere e gestire con parsimonia, al pari di mordere un frutto proibito di cui ci si possa pentire.
Una speranza su cui contare per evitare di conformarsi alla tendenza predominante dell’industria cinematografica, in cui l’uso invadente e convenzionale della CGI sta gradualmente sostituendo approcci più artigianali che hanno prodotto risultati superiori nel passato. Un esempio lampante è rappresentato dall’ultimo e costosissimo “Gli Anelli del Potere”.
Tutto ciò trova fondamento nel contrasto con quel fanatismo degli abitanti delle Westlands, incentrato sull’esaltazione dello “spirito” meccanico e il culto della guerra, della velocità e dei motori. Sebbene la venerazione per il “manubrio” funga da simbolo religioso, è il tema del viaggio e l’ossessione per il movimento a caratterizzare il film, narrando un approccio alla realtà profondamente influenzato dalla devastazione umana.
Open World
La presenza di elementi meccanici e virtuali fa somigliare Furiosa a un videogioco open world, riproponendo dinamiche tipiche come la divisione della narrazione in missioni definite, il saccheggio delle risorse e lo shooting(marcato dall’utilizzo dello zoom sui personaggi). Il regista, mappando il territorio, crea una concezione del tempo e dello spazio molto allusiva, delineando una geografia complessa e scandendo il viaggio con tante rotte per continuare ad esplorare.
È risaputo che il worldbuilding e la fervida immaginazione di Miller è ciò più lo hanno reso celebre a livello mondiale. La costruzione quasi realistica di un mondo distopico suscita grande interesse e curiosità, alimentando il desiderio di scoprire ulteriormente usi, costumi e luoghi di un futuro non troppo lontano dal nostro, magari continuando il racconto nel prossimo film.
Furiosa rappresenta tanti generi cinematografici: combina elementi di film d’azione, di distopia post-apocalittica, è un revenge movie, un road movie, un neowestern e nonostante sia tante cose resterebbe comunque un qualcosa di unico, anche per un prequel. Tuttavia, anche in tal caso, il cinema di George Miller sembra richiamare solo sé stesso.
E alla fine, il messaggio più importante regalatoci da questo regista ottantenne, che continua a dispensare insegnamenti, è che il nostro mondo, se non protetto, se non amato e custodito – come il seme dato a Furiosa dalla madre – non è così diverso da quello rappresentato nel film. Quindi, la minaccia di perdere la nostra umanità, a riprova delle guerre e di ciò che sta accadendo nel resto del mondo, potrebbe diventare una realtà più vicina di quanto pensiamo. Non un futuro così remoto, ma spaventosamente prossimo.
