“Road House” – ultimo film del regista Doug Liman (The Bourne Identity, Edge of Tomorrow) – è il reboot de “Il duro del Road House” del 1989, con protagonista Patrick Swayze.
Nonostante possa sembrare un’operazione-nostalgia, il film si discosta dalla trama originaria, spostandone in principio l’ambientazione dal rurale Missouri a un luogo caldo e soleggiato come le Florida Keys. Ciò fino a rendere lo stesso locale più marginale se paragonato al vero e proprio ring dell’opera di Herrington, rischiando di diventare (fuori dal bar) un qualsiasi action movie alla “John Wick”, paragonabile persino al Baywatch del 2017.
La storia
Dopo un passato come lottatore professionista dell’UFC, Elwood Dalton(Jake Gyllenhaal) ha deciso di ritirarsi a causa di un avvenimento tragico che lo tormenta ancora; costui si dedica a incontri clandestini per mantenersi, finché la proprietaria di un Road House, situato in Florida, non gli offre l’opportunità di diventare il buttafuori del suo locale.
Non credo di essere l’eroe di questa storia

Il tipico antieroe
«È proprio la trama di un western» afferma uno dei personaggi; in effetti, come l’originale, anche questa versione di Road House è un neo western, con tutti gli archetipi del genere (più comunemente rappresentati da “Il cavaliere della valle solitaria”).
Un tipico antieroe che deve guadagnarsi il rispetto a suon di pugni contro gangster locali, aiutando, prima con la vendetta e poi con il denaro, una famiglia amichevole, scontrandosi con uno sceriffo senza scrupoli, nonché, da ultimo, salvando una principessa nel castello.
Un’epoca (povera) di remake
I combattimenti sono ben costruiti grazie anche alla presenza di Conor McGregor, unitamente a un sapiente uso del pianosequenza che porta lo spettatore ad essere immerso nell’ azione come un tipico game FPS, spesso, tuttavia, esasperato dall’uso della CGI. Interessante la scelta della colonna sonora esguita come live music da bar con blues, zydeco, soul; tradizionale che si mescola con un mood più moderno.
Il bias cognitivo tipico del mercato cinematografico – in virtù del quale le opere con cui siamo più familiari sembrano essere più interessanti rispetto a idee totalmente nuove – è la conseguenza di un’epoca satura di reboot e remake, tristemente povera.
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